Del recente viaggio in Molise ciò che mi è rimasto più impresso è il vuoto, ma di un vuoto pieno di verdi. La vegetazione ha qui possibilità di combinazione che risentono della montanità silvana come dell’effetto di tante azioni umane frammiste e indistinte alla potenza della vita delle piante.
Il paesaggio vegetale è una macchina dove ogni elemento sa come crescere e come disporsi, in un impercettibile continuo lavorio teso alla pura sopravvivenza, come individui e come specie. Sono accolto da una infinità di piante che mi scorrono attorno, i pensieri si mescolano e perdono nella varietà vegetale, sullo sfondo, indifferenziato e perpetuo, dello spazio aperto.
Di tanti interminati orizzonti che sfumano tra file di catene montuose, mi attira il piccolo giardino terrazzato, affacciato sulla boscaglia appena al di sotto.
Angolo segreto di rēverie dove mi sembra che il genio naturale ha approfittato della temporanea assenza umana per creare un giardino per sé stesso, per le piante e per i piccoli animali di passaggio. Qui essere spettatori, come me adesso, è un privilegio che bisogna meritarsi. Vi gironzolo appena con lo sguardo, annotando le sue presenze multiformi. Sebbene incolto, niente mi richiama alla mente sofferenza o morte. La morte qui diventa decomposizione, opportunità di circolazione di materia ed energia, che nutre il consorzio dei viventi provvisori.
Vedo tanta vivacità nell’affastellarsi di steli e foglie a coprire ogni spazio.
Enumero a mente: lunarie, pratoline, forasacchi, grespini, muscari, ombelichi, cimbalarie.
Ogni specie partecipa la propria parte di lancio vitale creando la poetica del luogo. Configurazione casuale e confusa solo per i superficiali.
Radicate tutt’attorno al tavolo sembrano festeggiare questa serena mattinata primaverile.
Questo è il paesaggio delle piante visto dagli uomini e, in questo senso, ogni viaggio è anche un evento botanico.
