Piccola bottega del paesaggio

Brevi resoconti di processi di giardini e paesaggi

 

Il giardino non è una cosa che deriva da un progetto, ma un processo che deriva da una relazione

 

Il Paesaggio del giardino.

Il paesaggio è il canone essenziale del giardino.

L’arte del giardino ha come base una reinterpretazione e insieme un’inevitabile esagerazione delle scene naturali da cui attinge.
Così ho scoperto il mio personale canone del giardino. L’ho fatto seguendo un moto spontaneo che è andato all’essenza dei paesaggi, spaziando da quelli classici e quelli naturali.

La realtà degli ambienti si è sempre fondata su una solida base di ecologia vegetale. Ma la scienza avendola studiata, dobbiamo anche metterla a servizio della composizione.

 

 

La semplicità compositiva dei paesaggi di un giardino dipende dalla chiarezza dello sguardo sul luogo.
La materia è essenziale, ma di più è dato dalle modalità nel suo uso. I lastricati, lo strato erbaceo, i bordi misti, l’ intrico basso arbustivo, le macchie, le alberature, sono gli elementi di base, il frasario del discorso.

Anche con fogliami dalle differenti tessiture e coloriture si può provare a re-inventare la realtà di un luogo, facendone un giardino.
Dobbiamo ricordarci sempre che siamo gli ultimi di una serie di attori erranti che da tempi immemori hanno contribuito alla forma del luogo. Dobbiamo quindi pure essere capaci di discernere “archeologicamente” la stratigrafica degli esiti generati dagli eventi che hanno creato quei luoghi unici, che chiamiamo paesaggi.

Il giardino delle Tre Pietre

Gli amici dopo aver visitato il giardino delle Tre Pietre nei periodi di massimo fulgore mi hanno incoraggiato a proporre questa “soluzione” ai giardini dei miei committenti. Mi dispiace doverli contraddire pero debbo gli spiegare come questi momenti davvero speciali siano preceduti e seguiti da lunghi periodi di “silenzio estetico”, che altro non sono che pause necessarie alla bellezza per potersi ricaricare per poi manifestarsi effimera e smagliante.

La mediterraneità è di per sé ecologicamente contraddittoria e forse per questo difficile da amare. Per capire l’ordine biologico mediterraneo occorre essersi misurati a lungo con le vicende della sua peculiare vita vegetale, fatta anche di appassimenti, di decolorazioni dei fiori che divengono frutti che racchiudono i semi della rinascita stagionale principio di nuova bellezza. Per cui molto dipende da come vediamo le cose ed è importante essere più indulgenti e pazienti.

La percezione della bellezza esige più qualità da noi stessi che dalle cose.

Molto di quanto pratico in giardino lo devo alla mia propensione di attraversatore di paesaggi forse prim’ancora che di giardiniere.

Qui vige un apparente caos vegetale dove si diffondono le piante che si autodisseminano (self seeding plants).
Io non faccio altro che mantenere un equilibrio in modo che le specie più robuste non abbiano il sopravvento sulle altre.

Questo giardino è un angolo di pianeta strappato alla strapotere tecnocratico e soprattutto l’esito di un assecondamento della vita vegetale così come essa stessa mi si è fatta avanti. Credo di dovere molto a questo giardino che grazie a un prodigioso feedback empatico, è capace di curare chi se ne prende cura.

Ho maturato, negli anni passati a girare e rigirare per, nei e tra, i giardini, l’idea che l’osservazione intensa dei paesaggi vegetali circostanti favorisce la comprensione dell’interazione dei vari fattori che lo determinano. Il continuo allenamento dello sguardo porta, infatti, ad affinare modelli predittivi che sono la base intuitiva delle strategie creative del giardiniere debitore di paesaggi.

 

 

Ho letto nelle Illustrazioni* delle forme di montagne, pianure e corsi d’acqua compilate dal monaco giapponese Zoen intorno al secolo XIII, a completare l’elenco delle prescrizioni dedicate a come collocare con maestria le pietre in giardini: <Per raggiungere questa capacità non c’è che da adoperare il cuore, che senza una continua pratica diventa ottuso>.

Crediamo che l’ideazione e la fruizione del giardino permettono di acquistare e coltivare la consapevolezza del flusso di energia che pervade l’universo, nonché la capacità di prendervi parte. Ciò avviene solo assecondando il paesaggio preesistente, ma non con atteggiamento passivo, bensì ricettivo e di interazione <apportando il contributo del proprio gusto e della propria sensibilità>.

A partire da queste premesse, il metodo di progettazione adottato, poggia su modalità intuitive della conoscenza, coltivate attraverso una sottesa pratica meditativa, ed organizzato secondo molteplici livelli di significato: tecnico-descrittivo, emotivo, estetico, spirituale-religioso.

Da giardiniere debitore di paesaggi, mi approccio con profondo rispetto e osservazione empatica agli elementi che compongono i paesaggi naturali, ricreandoli nei giardini. Credo così concepiti, i giardini possano anche contribuire a rappresentare una forma di analisi, empirica e discreta ma accurata e incisiva, degli elementi che possono favorire l’interazione armonica fra l’uomo e il suo ambiente.

Questo approccio trasforma gradualmente la visione della natura, la capacità di osservarla e il modo di esperire il rapporto con il paesaggio del luogo.

*Annotazioni e Illustrazioni di Paola Di Felice – L’UNIVERSO NEL RECINTO. I FONDAMENTI DELL’ARTE DEI GIARDINI E DELL’ESTETICA TRADIZIONALE GIAPPONESE. 2012, editrice Leo S. Olschki

 

 

Alcuni consigli “lievemente tecnici” sul giardino dai ritmi naturali:

Piantare bene (formazione di buche di piantagione profondamente lavorate e ammendate) impiegando piante giovani di specie adatte all’ambiente e adeguate all’entità dello spazio;

Pacciamare sempre (organico e minerale);

Diserbare manualmente;

Irrigare manualmente di soccorso (turni e volumi e modalità);

Potare con arte assecondando la fisiologia e l’anatomia vegetale  (p. di formazione e p. di mantenimento);

Osservazione continua dell’impianto;

Saper attendere;

Accompagnare la crescita con sguardo fiducioso.

 

 

Istruzioni di base per un Giardino Senza

Senza impianti irrigui (tutti quei tubi sparsi e/o ordinati, per quanto comodi, oltre a essere brutti, raramente rispondono alle vere esigenze delle piante che anzi sovente contribuiscono a indebolire);

Senza motori (le cacofonie dei macchinari ingombranti, inquinanti e  rumorosi);

Senza fertilizzanti di sintesi chimica industriale (senza “palline azzurre” o di altri colori, si guarda alla resilienza del giardino, alla sua capacità di autofertilizzazione secondo l’ampio sguardo della concezione sinergica e permacolturale);

Senza pesticidi (le piante non “cadono malate”, ma c’è qualcosa che parte da prima, applicando in fitopatologia i precetti basilari della medicina tradizionale cinese, potremmo dire che tutto si gioca allo stadio del sottile. Con questa visione ampliata, i classici rimedi ci possono apparire del tutto parziali e comunque insufficienti al mantenimento di un giardino che valorizzi le proprie facoltà endogene di omeoresi (processo di equilibrio evolutivo) del tutto ignorate a favore di più rassicuranti e immediate soluzioni pseudoteraupediche;

Senza rifiuti (tutta la biomassa prodotta è rielaborata dal microbiota del suolo e ritorna a dare vita e a perpetuare la fertilità complessiva del giardino);

Senza lavorazioni del terreno (gli effetti ammendanti di superficie della paccimatura organica e della lettiera).

 

 

 

Altre libere considerazioni sul giardino

In giardino il vuoto rappresenta il fondo più consistente di ciò che è veramente essenziale, poiché in esso ruota il processo di manifestazione del suo paesaggio.

Il mio lavoro è partito dalle piante ed è tornato alle piante. Le piante sono l’elemento debole e abusato anche in tempi di sensibilità ambientale e ciò dipende dalla distanza (tecnica, scientifica e protezionistica) che non alimenta più alcun stupore. Il motore del giardiniere è lo stupore e il carburante è la pazienza! Solo in mezzo sta la progettazione.

Il giardiniere non arreda, egli è piuttosto l’organizzatore del dialogo tra la pianta e il posto. Per lui non contano i cataloghi solo per nominare le piante, egli sa che ci sono molte più piante, e tante quante sono gli infiniti luoghi in cui le può piantare.

Egli sa anche che ogni pianta è una trasformista che trasforma i luoghi.

C’è un piantare per le piante, c’è un piantare per le persone, il lavoro essenziale del paesaggista-giardiniere è piantare per le piante pensando alle persone.

L’esperienza mi sta confermando sempre più che, i tempi dell’entusiasmo per le piante raramente coincide con i tempi delle piante.

 

I bei paesaggi sono il risultato del tempo e della semplicità.

La tecnologia (complicata) spesso si sovrappone inutilmente, interferendo con le leggi della vita (complessa).

Pensare a paesaggi e giardini a bassa energia di sussidio è la sfida del moderno giardiniere e paesaggista.

L’energia di sussidio, intesa come percentuale di disturbo indotta dal giardiniere per il mantenimento del giardino; questa è suppletiva all’habitat naturale dove invece gli elementi del paesaggio sono regolati da energia propria.

E poi credo che soprattutto in giardino si comprende il senso che “il genio è una lunga pazienza”. [J.W.Goethe (A.Gide) E. De Filippo]

 

 

 

Infine mi piace proporvi l’impostazione di MUSO KOKUSHI, monaco giardiniere giapponese del XVI secolo: Non meravigliatevi pensando che io sia sciocco perché mi diletto di architettura di giardini. Me ne servo come strumento per affinare l’intuizione spirituale”.

Una fase fondamentale della piccola bottega del paesaggio consiste nel portare avanti una progettazione attraverso tecniche di rappresentazione artistica dei giardino.

La rappresentazione grafica manuale innesca e completa la costruzione vera e propria che si va progressivamente manifestando, prima sul foglio bianco e poi sul terreno.

Ciò si realizza attraverso l’immersione nel contesto in progetto, praticando l’idea che più spesso di quanto non si creda “la mano conosce ciò che la mente ignora“, in un feedback contemplativo che realizza e armonizza la poetica lo spazio.

Il giardino mediterraneo porta a far incontrare specie floristiche lontane e specie vicine e, addirittura, autoctone. Importante non è tanto la specie utilizzata, quanto la sapiente “traduzione” in quello che è il linguaggio del paesaggio che si persegue. Prima immaginandolo, poi avendo l’ardire di osare e infine la pazienza di attendere, il farsi autotrofico della forme vegetali.