fisiologia dei campi coltivati

È più urgente che mai ritrovare una migliore visione dell’azienda agraria e al contempo un cambio di paradigma produttivo.

Domina ancora la “concezione economica”, dell’attività agricola considerata come una qualunque impresa industriale o commerciale, dove la produzione è ridotta alla scelta di mezzi di produzione distinti e disgiunti, acquistati sul mercato (materie prime, concimi, lavoro. macchinari), che vengono combinanti solo in funzione diretta del raggiungimento del massimo profitto.

Questa concezione economica è quella che trae origine dall’applicazione, anche all’attività agricola, dell’epistemologia meccanicistica e dell’etica utilitaristica, i due cardini dell’economia neoclassica, il filone dominante ormai da quasi un secolo e mezzo all’interno del pensiero economico.

 

Per “concezione biologica” invece qui intendiamo la visione dell’azienda agraria come un “corpo” radicato nel terreno geologico fondamentale, che si auto-mantiene e si sviluppa grazie al flusso di radiazione solare, agli scambi di gas dell’atmosfera, al flusso delle acque, ai minerali del terreno fondamentale, e alle circolazioni interne di materia organica e minerale tra i vari “organi” che compongono l’azienda (terreno fertile, coltivazioni, stalla, concimaia).

Tra i vari organismi viventi che compongono questa entità biologica unitaria (microrganismi del suolo, piante cerealicole, piante foraggere leguminose, erbivori) sussistono delle “simbiosi”, ovvero delle interazioni biologiche mutuamente benefiche, che, se ben governate dall’uomo agricoltore, permettono la “perennazione” nel tempo dell’azienda agricola e la produzione di merci agricole e zootecniche per il mercato.

 

Non si può al contempo che essere perfettamente consapevoli di come l’invenzione dei fertilizzanti di sintesi e delle macchine termiche agricole abbia permesso la diffusione di una “agricoltura dei grandi successi immediati”, che ha radicato l’idea di poter superare con i mezzi tecnici artificiali (ritenuti liberi e illimitati) i limiti biologici dell’azienda agraria, e la convinzione che solo il passaggio dalla agricoltura contadina all’agricoltura industriale possa liberare la produzione agricola verso livelli quantitativi sempre più alti.

 

Le scienze agrarie, hanno così finito per accettare la concezione economica dell’azienda agraria, smembrando il loro oggetto di studio in parti da studiare e da gestire separatamente, l’una dall’altra, con l’unica finalità di aumentare la loro economia diretta e immediata in relazione all’obiettivo ultimo del profitto. In tal modo “le scienze agrarie, pur rappresentando una biologia applicata, hanno rinunciato allo sviluppo di una “propria” visione dell’azienda agraria che, per essere sostenibile, non può che essere quella biologica, dove persistono quelle interazioni simbiotiche, mutuamente benefiche, gratuite e quindi realmente economiche, tra le parti”.

 

Da questa che è la “grave lacuna nelle scienze agrarie” si manifesta l’esigenza di “una necessaria revisione delle direttive agronomiche verso una interpretazione più biologica del miglioramento della produzione”.

 

Con la concezione “fisiologica” si vuole adottare una nuova disciplina sintetica che, facendo tesoro delle conoscenze scientifiche acquisite dalle varie discipline specialistiche, si occupa delle interrelazioni simbiotiche esistenti nell’azienda agraria, intesa come oggetto unitario di studio, con l’obiettivo di migliorarla e se del caso risanare le diverse situazioni “patologiche”.

 

Queste note sorgono dalle idee illuminanti del grande agronomo modenese Alfonzo Draghetti i cui precetti sono racchiusi in quel libro-scrigno: Draghetti A. (1948) Principi di Fisiologia dell’Azienda Agraria, Istituto Editoriale Agricolo.

 

Indurre, preservare, accrescere la fertilità del suolo è l’imperativo categorico primario: per attuarlo non si può prescindere da un sistema colturale che abbia il suo asse portante nella permanenza della copertura vegetale, che esalta al massimo la fertilità integrale del suolo.

 

Il coltivatore agricolo capace, non deve cercare solo la produttività e il profitto ad ogni costo, ma essere l’artefice e il custode della fertilità del terreno, diventare insomma quello che un altro grande agronomo Giovanni Haussmann, chiamava l’“agricoltore simbionte”, ossia in simbiosi intelligente ed amorevole con ogni organismo vivente che gli sta intorno, suolo, piante, animali.

 

È triste vedere come nella realtà attuale non poche aziende agricole, ancora si presentano come forme retrograde di organizzazioni di sfruttamento delle risorse naturali, purtroppo non più abbondanti come un tempo e destinate ad esaurirsi, fino al limite dell’abbandono e della desertificazione delle campagne.

La maggior parte delle aziende è invece, più propriamente, agroindustriale, configurabile come organizzazione di trasformazione delle lavorazioni meccaniche e dei concimi di sintesi che trascurano, più o meno, totalmente le risorse endogene potenziali del terreno, le quali, non solo, rimangono in parte o in tutto inutilizzate, ma perdono la funzionalità di organo rigenerante della fertilità.

 

Rispetto a questi due attuali sistemi di coltivazione – di sfruttamento e di sottoutilizzazione – una terza via attende ancora la sua piena realizzazione, con l’avvio di un’azienda intesa come organismo biologicamente attivo e capace di perennare e massimizzare la capacità simbiotica e vitale di rigenerare nel tempo la propria fertilità.

 

Urge richiamare l’attenzione ad una rinnovata presa di coscienza del modo di produrre contemporaneo che per altro coincide con la principale problematica ambientale dei nostri tempi, quella dei cambiamenti climatici, alla quale l’agricoltore moderno può, e deve, dare urgenti risposte.