Merine, luglio 2020

Merine, luglio 2020

Non mi aspetto nessun disvelamento identitario camminando per questo paesino del Salento. In questo pomeriggio di inizio estate è soprattutto volgendo obliquamente  lo sguardo ai lati delle strade che mi ritrovo nel particolare. A guardare solo davanti non si trova quasi mai nulla che mi incuriosisce. Di lato, invece, vaghezza visiva, apparizioni, dapprima ombre e luci sfuocate, che diventano, volgendosi, dei quadri più nitidi, incorniciati; apparizioni di scene domestiche inquadrate da due muri, della cura casalinga, quando non dell’abbandono… 

Quale è stata l’ultima volta che qualcuno è uscito da quel cortile? Con quali pensieri ha abbandonato quello spazio? Forse non c’è più! Ci saranno degli eredi? 

Potremmo star qui a struggerci di malinconia. Ma la vita (vegetale) non ragiona così, trova sempre una via per continuare a raccontare.

Mi faccio guidare lo sguardo dalle circonvoluzioni del rampicante dalle trombette arancioni* che, con senso estetico, sembra voler trovare un modo suo di rendere ancora bello e accogliente ciò che la gravità e l’assenza, attraggono in basso. 

Lo slancio vitale contro le leggi della geologia. Per altra via, contro entropia, le piante invertono i processi e ci invitano a guardare diversamente il volgere degli eventi. 

La vegetazione: una “metafisica della mescolanza” (Emanuele Coccia) contro la fisica della rassegnazione. 

 

* Campsis radicans