Alberi & Arboricoltura

L’albero è l’organismo vivente tra i più grandi e più longevi della Terra;

L’albero è un organismo autotrofo;

L’albero possiede solitamente un tronco che si ramifica fino a formare una chioma e possiede una struttura legnosa che gli consente di vivere molto a lungo;

L’albero è un organismo a crescita continua, compartimentato che compartimentalizza le lezioni;

L’albero è una entità vivente ipersensibile (i 5 sensi + almeno altri 15) e ha un sistema immunitario esterno;

L’albero non è un individuo e ciò come adattamento alla sua condizione di immobilità sessile.

Esso è piuttosto una “colonia”, una struttura modulare, che cresce e si divide, dando origine ad una conformazione ramificata caratterizzata da una geometria frattale (che si ripete allo stesso modo a scale diverse),

Alles ist blatt”, scrive Goethe nella Metamorfosi delle piante.

Da queste prime mosse capite che mi interessa avere un approccio il più poetico possibile all’arboricoltura.

Alle mie latitudini, troppo spesso accade che, quando un albero ha raggiunto un’età considerevole e mostra i segni della sua imponenza, viene sovente ritenuto, troppo pericoloso per poter continuare a sussistere in piedi.

Si trascura semplicisticamente che gli alberi sono estremamente prudenti, infatti essi si autolimitano nelle dimensioni: nel raddoppiare l’altezza arrivano ad incrementare, irrobustendo il tronco di almeno otto volte.

Tutto ciò ha un elevatissimo costo energetico e, in natura, non esistono costi superflui, come gli inutili sprechi dell’uomo.

Quindi prima di decidere le sorti di un albero, dovremmo ascoltare la valutazione di un tecnico di comprovata competenza ed esperienza e possibilmente con un alto profilo etico, ma, più di tutto, dobbiamo essere consapevoli che, senza un’essenziale volontà di mantenimento degli alberi, pochi di questi, superata una certa età, potranno essere ritenuti idonei a rimanere in piedi.

Assai sovente, accade che questi alberi ritenuti frettolosalmente pericolosi vengono sottoposti a scriteriate potature drastiche, il cui risultato consiste in una falsa e insidiosa messa in sicurezza a discapito della ragionevole sicurezza (l’unica davvero possibile!), dell’integrità fisiologica della pianta e della sua armonia organica.

 

Nella lirica sull’albero, R. M. Rilke, leggiamo: “Albero che forse/Pensa internamente/Albero che si domina/Dandosi lentamente/La forma che elimina/I rischi del vento”(La forme qui èlimine/Les hazard du vent).

Non ci dobbiamo rassegnare all’idea vetero-agricola che la potatura, specie sugli alberi ornamentali e urbani, debba essere considerata un’operazione sempre necessaria, quasi ineluttabile.

 

L’albero, presenta una sua struttura che va rispettata il più possibile nella sua innata armonia, al punto che non sarà certo la particolare abilità di un qualche, seppur abile, potatore a rendere migliore. Più che un insieme di nuove tecniche, l’Arboricoltura Moderna, è una nuova concezione che basata sul fondamento di come le giuste cure da prestarsi agli alberi, non possono prescindere dal corretto apprendimento della loro biologia.

Nell’arboricoltura sia essa da frutto, urbana, ornamentale o da legno, spesso si effettuano operazioni di potatura. Gli interventi di potatura non servono alla pianta, ma all’uomo che in questo modo vuole ottenere propri obiettivi prefissati.

Nell’arboricoltura, urbana-ornamentale, nelle alberate, nei parchi o nei giardini, un albero messo a dimora e coltivato correttamente e che non presenti difetti od alterazioni, non necessita di norma di potatura. Questa può però rendersi necessaria in varie circostanze che hanno sempre la caratteristica di avere una “ragionevole” motivazione.

Ricordo inoltre che ”la potatura può essere, al tempo stesso, la migliore o la peggiore cosa che si possa fare per l’albero” (Luigi Sani), si capisce quindi come essa non possa essere il frutto dell’improvvisazione momentanea dell’operatore, mentre necessita di una specifica progettazione e definizione degli obiettivi e delle modalità operative.

Alle nostre latitudini, l’esperienza mi suggerisce che Alex Shigo (il grande scienziato, padre dell’arboricoltura moderna) non peccasse affatto di uno sconsolato pessimismo, quando sosteneva, dopo una vita spesa a studiare gli alberi, che: “I grandi e vetusti alberi che vivono tra di noi non costituiscono la riprova della bontà delle nostre cure, ma solo semplicemente la loro tolleranza alla nostra follia.”

     

Prima e dopo un normale, ma straordinario alle nostre latitudini, intervento di potatura rispettosa della fisiologia del leccio più annoso della città di Nardò.

Sempre più spesso penso che, oltre ad essere esperti in arboricoltura, è necessario affinare una particolare attitudine alla comprensione della “psicologia arborea” degli uomini!

Un leccio è un leccio è un leccio…..

Non guardiamo più alberi, ma le cose che la scienza e la tecnica ci dice di loro, non riuscendo mai ad innalzare ed unificare lo sguardo per vederne la mirabilia di come appaiono.

Per quanto si possa aver studiato, vale solo la poetica dell’albero.

 

La valutazione e la gestione del rischio arboreo

Oggigiorno, oltre alla conoscenza quanti-qualitativa delle alberature (censimento) si pone il serio e grave problema del rischio arboreo, cioè il rischio connesso alla presenza degli alberi. Emerge la necessità di valutarlo e gestirlo in modo tale da permettere alle persone di convivere al meglio con questi meravigliosi esseri viventi, in particolare nell’ambiente urbano, laddove la loro presenza è non solo fonte di numerosi e importanti benefici, oggi sempre più riconosciuti (Ferrini e Fini, 2017), ma anche essenziale per la sopravvivenza nostra e dei nostri figli.

Un possibile approccio per arrivare a una condivisione del livello di accettabilità di un dato rischio, che ci permetta quindi di svolgere le nostre attività (direi, senza eccesso, la nostra vita) è quello di valutare quali siano i benefici che derivano dal correre quel dato rischio. Si tratta dell’altra faccia della medaglia che, come tale, è altrettanto importante. Quando viaggiamo in auto ci esponiamo al rischio di incidente ma ciò viene accettato perché il beneficio della possibilità di spostarsi rapidamente è senza dubbio notevole e superiore, per chi lo fa, alla probabilità di subire un incidente. Certamente, in modo analogo, si corre il rischio di subire i danni anche rilevanti conseguenti alla caduta di un albero ma, per contro, si godono i molti benefici che l’albero ci fornisce (Ferrini e Fini, 2017). Purtroppo è possibile verificare che i rischi corsi consapevolmente hanno un livello di accettabilità assai maggiore rispetto ai rischi subiti inconsapevolmente (Bignami, 2010). Questo perché le persone tendono a sottostimare i rischi di cui sono consapevoli e che ritengono di padroneggiare, mentre sovrastimano quei rischi che li colpiscono inconsapevolmente, o che non sono in grado di controllare, per quanto abbiano una frequenza di accadimento molto bassa. In fin dei conti è proprio questa la ragione per cui le persone sembrano non preoccuparsi molto della possibilità di subire un incidente stradale, mentre sono preoccupati di poter essere colpiti dalla caduta di un albero, la cui caduta ha una frequenza di accadimento molto inferiore alla frequenza degli incidenti automobilistici.

Quanto premesso non toglie nulla al principio fondamentale che gli alberi in città debbano sempre essere valutati con la massima attenzione e che tali operazioni debbano essere materia di professionisti competenti e specializzati nella delicata materia.

Ciò che si continua ad osservare è che, nonostante il benemerito impegno del mondo ambientalista, poco è cambiato, anzi si potrebbe dire che, malgrado le buone intenzioni non si sia andati mai oltre le sterili contrapposizioni per “partito preso” dalle opposte parti. In queste, che spesso divengono dispute agguerrite, a ben vedere, la componente carente è quasi sempre la parte competente, che perciò dovrebbe essere dirimente, del professionista degli alberi. Ciò, dunque, ci insegna che non sono questioni che possono essere risolte solo con l’emotività, sebbene ispirata dalle migliori intenzioni.

A fronte di quanto implicitamente accettato da tutti, cioè della necessità di fruire degli innumerevoli benefici della presenza di alberi in città, intollerabilmente bassa è, per esempio, la disponibilità a condividere e accettare l’idea che, seppur con bassissima probabilità, qualcosa possa andare per il verso sbagliato: cioè che un albero, benché valutato e gestito, possa rompersi o cadere, procurare danni a cose e persone. Ciò non è affatto ragionevole e, soprattutto, non lo è che la responsabilità sia solo e soltanto attribuibile al tecnico professionista che abbia valutato l’albero. L’agronomo e il forestale sono i medici degli alberi e hanno il compito di curarli responsabilmente, anche se ciò non può sempre dare la certezza che l’albero non cadrà mai.

Ciò che appare più di tutto necessario oggi è proprio quel patto sociale che migliori la convivenza tra alberi, arboricoltori, tecnici e cittadini. Da qui nasce l’esigenza di applicare procedure di valutazione e gestione del rischio arboreo, chiare e condivise, che “rassicurino” tutti!

Si sta inaugurando quindi una nuova epoca, verso la consapevolezza che l’incertezza, seppur minima, è ineliminabile e va gestita razionalmente a fronte della necessità vitale di convivere accanto agli alberi. La questione va rapportata a criteri di ragionevolezza, il che significa voler riconoscere che gli alberi sono percepiti come troppo pericolosi solo perché li conosciamo troppo poco e non ne sappiamo valutare e gestire i rischi connessi e, soprattutto, ne sottovalutiamo, malgrado la troppo reclamata e poco praticata crescita di consapevolezza ecologica, i reali benefici!

È necessario rimediare a questo pregiudizio! si tratta di coinvolgere gli attori urbani cittadini, amministratori pubblici e tecnici, per un impegno collettivo verso una nuova e più matura concezione del ruolo degli alberi in città.

Come ci ammonisce il prof. Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura Urbana dell’Università di Firenze: <<Le città hanno un bisogno estremo di alberi, che migliorano la salute e la qualità della vita dei residenti. Si tratta solo di gestirli in modo corretto, senza fanatismi in un senso o nell’altro. Vanno evitati errori colturali, così come è necessario gestire la fobia degli alberi con un’adeguata comunicazione. E, allo stesso modo, vanno contrastate le opposizioni ideologiche a tagli e abbattimenti, che possono essere talvolta necessari. Basta affidarsi ad esperti competenti per poter gestire al meglio il patrimonio arboreo>>. Allo stato attuale è diventato anacronistico, oltre che stucchevole, ogni genere di scontro. Con maggiore consapevolezza sappiamo che dobbiamo stare tutti dalla stessa parte che è poi la parte degli alberi e insieme degli uomini.

*Per maggiori informazioni sul professionista e sul gruppo tecnico – scientifico nazionale di cui fa parte: www.arborete.it

Bruno Vaglio è professionista associato S.I.A. (Società Italiana di Arboricoltura)  – SOCIO